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Vanessa Incontrada e il corpo di tutte le donne

A lungo giudicata per le sue forme, Vanessa Incontrada è diventata il simbolo di una battaglia culturale che ci riguarda tutti. «Dobbiamo cercare la bellezza dove pensiamo finisca». Perché è lì che comincia il futuro più bello

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 40 di «Vanity Fair», in edicola fino al 6 ottobre.

La ragazza col cappotto ha una mappa di plastica in tasca. «Non c’erano gli smartphone e quella mappa era l’unico modo per non perdermi: se si bagnava con la pioggia, ero perduta». La pioggia è quella di Milano. La ragazza è Vanessa Incontrada. Ha 16 anni, indossa un cappotto che sembra uno scafandro, un braccio sorregge l’ombrello, l’altro stringe quello della madre, l’ultimo ormeggio, prima di salpare verso la vita.

«E questa chi è?», esclama un addetto al casting delle modelle. È perplesso, non capisce perché una ragazza come lei pretenda di sfilare in passerella. Poi Vanessa si toglie il cappotto e sorride. Qualche mese dopo, quell’uomo lascerà l’agenzia, si metterà in proprio e si occuperà solo di Vanessa. Ma questa è un’altra storia. Perché l’epopea dell’Incontrada, un viaggio molto particolare dalla Spagna all’Italia, è un tour significativo che passa dalla Milano da bere alla Roma del cinema, dagli studi berlusconiani di Cologno Monzese alle lotte femministe su YouTube. Arrivando qui, a questa cover in cui posa nuda e a questa intervista in cui ancor più si spoglia di ogni pregiudizio. Forse anche di qualche paura.

Al perché di questa copertina ci arriviamo dopo, inutile bruciare le tappe, no? Facciamo un passo indietro: Barcellona e la bancarella dei suoi genitori. «Mia madre e mio padre erano artigiani e vendevano pupazzi di tela alla Fiera di Barcellona. Accanto a noi c’era una bancarella di altri commercianti: uno di loro insisteva con mia madre. Diceva: “Vanessa è molto bella, ha delle possibilità, parlane con qualcuno”. Così fissiamo un appuntamento in un’agenzia di modelle che mi iscrive a un concorso di bellezza. Mi ricordo che mi sono presentata con gli abiti di mia madre, mi sentivo ancora una bambina. Finisce che vinco il concorso e mi ritrovo a Milano, sotto la pioggia. È stato l’inizio dell’avventura. Tutta la mia vita è girata così, come per caso, come se fossero le cose a cercare me».

Lo ripete sempre nelle interviste: sono le occasioni a cercare lei, non lei le occasioni. «Guardi, succede ancora oggi. Pensi che con Pupi Avati, che nel 2003 mi scelse per Il cuore altrove, non feci neppure il provino. Anzi, ora che ci penso, non ho proprio mai fatto nessun provino. E se oggi qualcuno mi dicesse che devo farne uno, andrei in ansia».

L’hanno scritturata sulla parola? «Sì, sempre. Tutto è successo incontrandomi».

E com’è stato il primo ciak senza aver fatto nemmeno un provino? «Ah, quello lo ricordo benissimo. Arrivo sul set, di fronte a tutta la troupe, e mi ritrovo faccia a faccia con Giancarlo Giannini, ovvero niente meno che il volto del cinema italiano. Alla prima scena non avevo la minima idea di quello che dovevo fare. Ma, come sempre mi capita, come ho imparato a fare, mi sono lasciata guidare da Pupi Avati».

Un passo indietro, la sua prima volta in tivù. «Superclassifica Show. Ultimamente ho rivisto su Internet la puntata in cui intervistavo Piero Pelù. Avevo una voce da bambina che mi ha intenerito. Guardandomi mi veniva voglia di prendere quella bambina e di stringerla forte tra le braccia e dire a tutti: guai a chi la tocca, se le fate del male vi spacco la faccia».

È mai capitato che qualcuno le facesse del male? «Sì. E ha volte l’ho fatto pure io ad altri».

Mi racconti di quando lei avrebbe fatto del male ad altri… «Quando ero adolescente ho sofferto molto per la separazione dei miei genitori. Erano anni complicati e alla mia sofferenza si è aggiunto lo spirito ribelle e anche un po’ egoista di quell’età. Diciamo che non ero proprio la persona più simpatica con cui stare. Rimpiango di non aver trattato bene i miei genitori in quel periodo. Però quando finisce un’era, soprattutto un’era d’amore, è sempre difficile. Prima c’era una famiglia, poi eravamo solo tre donne: io, mia sorella e mia madre».

E quando altri hanno fatto male a lei? «Nel 2008 è nato mio figlio Isàl. La maternità, come per altro succede a tutte le donne, trasforma il tuo corpo. E il mio si trasformò molto. Partirono le critiche. Critiche feroci. Critiche crudeli. Si dice sempre che i peggiori attacchi arrivino da chi conosci. Io non la penso così: le parole che mi ferirono di più arrivarono da persone sconosciute. Ero delusa e disorientata: ma perché essere così cattivi?».

Come si incassa il colpo dell’odio? «Come quando vieni abbandonato dopo una storia d’amore: prima c’è la rabbia, poi il dolore e poi arriva l’indifferenza. All’inizio c’è questa rabbia feroce che non capisci, poi i mille perché che ti porta il dolore. È come una punteggiatura della sofferenza che finisce con l’indifferenza».

Com’è stato, poi, tornare sulle scene con un corpo che era cambiato? «Ho partorito Isàl a Barcellona una sera che, lo ricordo benissimo, c’era il concerto di Bruce Springsteen. Se chiudo gli occhi, sento ancora la musica che entra dalle finestre. Quando me l’hanno messo in braccio, mi sono sentita felice come non mai. E anche, finalmente, meno preoccupata di me e del mio corpo: c’era lui e lui era il mio unico pensiero. Ma dopo 10 giorni dal parto, a causa di impegni di lavoro che mi ero presa, sono salita con Isàl su un aereo verso l’Italia. Conservo ancora il biglietto di quel volo. Insomma, arrivo sul set di uno spot pubblicitario. Nel camper che fungeva da camerino, mi portano i vestiti da provare. Li passo tutti in rassegna e non me ne entra nemmeno uno. Dico, neanche uno. Senza rendermene conto, senza riuscire a controllarmi, scoppio in un pianto così sonoro che mi sentono tutti. Sa che cosa mi ha aiutato?».

Me lo dica lei. «Non lo scorderò mai. Giorgio Panariello era protagonista con me su quel set. Arriva, mi abbraccia e mi sussurra parole così belle che ricorderò per sempre. L’abbraccio di Giorgio fu come quello di una madre, lo stesso abbraccio che mi viene voglia di dare a me stessa quando riguardo certe apparizioni del passato. Cos’è successo poi su quel set? Quello che succede nella vita di tutte le donne. A volte prendi peso, altre lo perdi. Un mese sei a dieta e vuoi perdere quei tre chili, un altro ti senti a posto con te stessa. Siamo donne, il nostro corpo funziona così. È naturale, va accettato e va soprattutto rispettato. Nessuno ti può né ti deve giudicare».

Lei parla del corpo delle donne, ma questo argomento non riguarda anche quello degli uomini? «Oh sì. Eccome se li riguarda. E sa che cosa c’è di nuovo? A me sembra che gli uomini siano diventati più narcisisti delle donne. Io li vedo nei centri estetici, e molti medici chirurghi mi dicono che iniziano ad avere più clienti maschi che femmine. Io mi chiedo: ma cosa sta succedendo?».

Parliamo di quello che è successo a lei: quando ha fatto davvero pace col suo corpo? «Poco tempo fa. Per l’esattezza quando ho recitato il monologo in televisione. Mi sono sentita a casa, a mio agio, protetta. E ho finalmente capito che la battaglia del corpo non riguardava più me, ma tutte le donne. E che se potevo mettere a disposizione di altre la mia esperienza, be’ era arrivato il momento di farlo».

Infatti sono tante le donne oggi che trovano il coraggio di mostrarsi nella loro unicità, magari diversa dai canoni estetici che hanno imperato fino a oggi… «Sì, e lo trovo bellissimo. Come trovo preoccupante che nel 2020, immersi nella rivoluzione tecnologica, si sia ancora fermi a canoni estetici del secolo scorso. Perché non riusciamo ancora a emanciparci? Anche nel cinema si sono fatti passi in avanti. Penso a un’attrice su tutte: Kate Winslet. L’abbiamo ammirata in tutte le sue forme, in tutte le sue taglie, in tutti i suoi ruoli. Certo, anche io sono cresciuta con il culto delle top model, se le ricorda Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Christy Turlington? Però anche qui, oggi il mito della bellezza è messo in discussione. Così come quello della diva e in un certo qual modo della celebrità. Allora, mi chiedo, cosa ci tiene così ancorati al passato?».

Forse lo sguardo degli uomini, o, meglio, di chi dovrebbe desiderare le donne? «Guardi, io non vedo un vero problema nello sguardo degli uomini. Diciamo che la cosa che mi fa più pensare è la cattiveria di certe donne, piuttosto. Invece di essere complici e solidali, a volte ti giudicano in una maniera così spietata da farti riflettere. Personalmente devo dire che sono fortunata, perché ho un pubblico femminile che invece apprezza ogni centimetro della mia bellezza. E anche questo mi fa pensare».

Qual è il complimento più bello che le hanno fatto ultimamente? «A Cosenza, dove sto girando un film, alla fine delle riprese mi concedo a foto e chiacchiere col pubblico. È epoca di Covid, quindi stiamo tutti a distanza e in sicurezza. Però ogni tanto, qualche donna si avvicina e mi dà una carezza sul viso. In quel gesto semplice arriva chiaro ed evidente il messaggio che si dovrebbe indirizzare a ogni donna, al corpo di ogni donna: affetto, gentilezza, rispetto, protezione. Per me quel gesto è il miglior complimento. Poi, una volta, una signora diciamo un po’ vigorosa, mi tirò addirittura tre schiaffetti sulla guancia. All’inizio ci sono rimasta di stucco, ma poi guardando il suo viso ho capito che era un gesto di affetto materno. “Bella sei!”, mi disse come se stesse parlando a sua figlia o a sua nipote».

E gli uomini che complimenti le fanno? «Mi dicono: sei bellissima. Ecco, “Ah bona!” non me lo dice mai nessuno. Preferiscono: “Sei dolcissima”».

Arriviamo a questa cover. Dove si trova il coraggio di posare nudi, così come si è? «Faccio un passo indietro. Se potessi tornare alle prime offese ricevute, direi a quella Vanessa di aspettare. Di aspettare perché tutto passa. Le direi di credermi, perché diventerà più forte, più vera, conoscerà una nuova Vanessa: migliore, più fiera di sé. Questa cover per me è forse il momento più bello degli ultimi anni. Un punto d’arrivo che vede il mio corpo diventare un messaggio per le altre donne: affrontiamo una nuova bellezza. In un certo senso è come quando Cristoforo Colombo ha scoperto l’America in un luogo dove tutti pensavano finisse la Terra. Ecco, oggi dobbiamo cercare la bellezza dove tutti pensano finisca».

Ci parli invece del suo momento più difficile. «Ultimamente, una mia grande amica si trova ad affrontare un serio problema di salute. Siamo un gruppo unito, ci facciamo sempre forza a vicenda. È la prima volta che vivo da vicino un dolore così: un conto è sentirlo raccontare, un altro vederlo sulla pelle di chi ami. Si impara a essere impotenti. E non è facile. Ci sono attimi di silenzio, attimi in cui devi ascoltare, altri in cui devi stare zitta, altri ancora in cui devi lasciarla tranquilla. Alla fine impari a rispettare ogni singolo istante della persona che soffre. E a starle vicino sempre e comunque. In queste situazioni non devi mai chiedere. Devi dare. Punto».

Dove sarà Vanessa in futuro? «E chi lo sa. Io il futuro non lo guardo, non lo vedo, per me non esiste. Diciamo che non voglio fare questo mestiere a vita, sai che palle?! Vorrò godermi gli attimi che naturalmente perdi quando lavori: la mia casa, i miei cani che saranno diventati vecchietti, gli ulivi che continuo a piantare. Mio figlio sarà un uomo, quindi, be’ insomma avrà la sua vita. Poi, certo, domani magari casco, mi spacco la testa e via. Vede che guardare troppo il futuro non serve?».

Da dove le viene questa leggerezza, questo umorismo? Da dove arriva il sorriso dell’Incontrada? «E che ne so! Forse dai miei genitori: in casa si rideva sempre. Però sa cosa le dico? Bisogna ridere. In famiglia, tra gli amici e soprattutto in coppia. Tutti a preoccuparsi delle corna, invece sa di che cosa bisogna preoccuparsi davvero? Di ridere. Se non ridi con chi ami, allora c’è un problema grande. Ridere e piangere insieme è fondamentale. Se non lo fai, c’è qualcosa che non va».

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